Antibatterici 2. Trattamenti e norme

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Trattamenti antibatterici di prodotti tessili

 

Realizzare un buon prodotto antibatterico vuol dire fare qualcosa che ancora oggi è molto innovativo. Il trattamento antibatterico conferisce un valore aggiunto importante al tuo prodotto .
Ciò vale se
è una T-shirt che evita odori di sudore, se è un camice per uso medicale, o se è una tutina per neonati o un indumento per anziani.

Due cose servono affinché il tuo prodotto antibatterico sia unico e diverso da quanto è sul mercato:

  • un trattamento appositamente studiato per il tuo prodotto
  • una misura della vera attività antibatterica raggiunta

In questo post ti spiego come districarti fra i molti trattamenti disponibili per identificare quello per il tuo prodotto e ti esporrò norme e metodi per la misura e certificazione dell’attività antibatterica raggiunta. Troverai infine alcune indicazioni relative all’etichettatura necessaria.  

Buona lettura!
(Rev. 03 del 01/07/2021. Prima pubblicazione: 14/10/2018) 

 

Principi attivi antibatterici

Esistono molti trattamenti antibatterici diversi in grado di conferire proprietà a prodotti tessili e altri substrati.
I loro principi attivi sono molti e ciascun principio attivo antibatterico è differente dagli altri.

Ecco i principi attivi più in uso (in ordine alfabetico):

  • Ammonio quaternario
  • Chitosano
  • Ioni di argento
  • PHMB (Poliesametilenbiguanidecloruro)
  • Silicio quaternario
  • Triclosano
  • Zincopiritione

Di ogni principio attivo (si chiama “biocìda”), sul mercato esiste una molteplicità di sostanze chimiche che lo incorporano. Le differenze fra sostanze che incorporano lo stesso biocida dipendono da come la molecola di biocida viene “inclusa” nella sostanza chimica venduta: ciò si rende necessario per legare stabilmente il biocida ad un substrato o a una fibra tessile.

 

Tutti antibatterici, ma…

A fronte del tipo di biocida, delle sostanze chimiche che comprendono il biocida, dei diversi produttori sul mercato, derivano trattamenti che si chiamano tutti “antibatterici”, ma che sono in realtà molto differenti per efficacia, prestazioni, comportamento, durata. Ulteriori grandi differenze di risultato derivano poi dalle molteplici e diverse tecnologie applicative adottate da ciascun applicatore, cioè dall’azienda che materialmente effettua il trattamento antibatterico sul tuo device o prodotto tessile.

Lo stesso principio attivo applicato da due diverse aziende dà luogo a performances antibatteriche molto differenti. Prestazioni differenti e costi differenti trovano spiegazione, oltre che nel principio attivo utilizzato, nel metodo e nel rigore del processo applicativo impiegato per trattare il tuo prodotto. Sono in qualche caso piccoli dettagli che producono però grandi differenze. 

Come puoi orientarti per definire come e dove trattare il tuo specifico prodotto?

Mettere a punto un buon trattamento per un determinato prodotto tessile o altro substrato è un lavoro impegnativo: serve la tua collaborazione, ma occorre un partner competente e, anche, …un poco di pazienza! 

La ragione principale di queste difficoltà è che non esiste “il migliore trattamento”, né – purtroppo – un trattamento che va bene per qualunque caso si presenti.  

 

Da dove cominciamo?

Cerco di fornirti un metodo di approccio e alcune informazioni per ridurre il rischio di sbagliare, cosa che capita se non si procede nei dovuti modi. I trattamenti inadeguati sono frequenti nei prodotti sul mercato e, in questo campo, è la specificità del trattamento a fare la differenza del prodotto realizzato.

 

Determinare il trattamento antibatterico


Il mio suggerimento è di partire dal tuo prodotto e dalla destinazione d’uso che conosci meglio di chiunque altro. Poi, con pazienza, definire (o raccogliere) le informazioni che ti elenco.
Non scoraggiarti!

Serve identificare:

  1. tipologia di prodotto (descrizione, dimensioni, peso; formato; se in pezza o teli: altezza, lunghezza media, peso/metro lineare)
  2. dimensioni orientative dei lotti da trattare (iniziali e nel caso di produzioni successive)
  3. composizione del substrato o delle fibre 
  4. destinazione d’uso del prodotto (finalità, impieghi previsti)
  5. mercati e paesi (in particolare se extra-UE) in cui prevedi che il prodotto potrà essere venduto
  6. norme, capitolati, parametri che tu sappia di dover soddisfare, rispettare o garantire
  7. prestazioni specifiche attese dal tuo prodotto 
  8. tipo e frequenza di manutenzione prevista (lavaggio in acqua? a secco? modalità, detergenti previsti, ecc.)
  9. durata dell’effetto antibatterico e numero di lavaggi ipotetici nel tempo di vita del prodotto
  10. ogni altra informazione che tu ritenga utile o importante  

Avventurarsi nel campo degli antibatterici senza avere idee chiare sui punti di cui sopra potrebbe essere fonte di dispiaceri.

Può accadere che inizialmente tu non abbia tutte queste informazioni: prendi contatto con noi o con chi debba eseguire il trattamento, ma ricorda che presto o tardi serviranno tutte le informazioni di cui sopra

Serve definire tutto per bene, perché il trattamento antibatterico è come un abito fatto su misura!

Con le informazioni che riferirai, noi o chi debba eseguire il trattamento antibatterico, se competente, disporrà di tutti gli elementi per poter selezionare principio attivo necessario e tecnologia applicativa più indicata nel tuo caso.   

 

Misurare e certificare tessuti antibatterici

La misurazione dell’attività antibatterica è un aspetto di importanza fondamentale: per questo devi conoscerlo adeguatamente. 

Per misurare l’attività antibatterica di un prodotto tessile si eseguono prove di tipo microbiologico, in laboratori opportunamente attrezzati. Meglio se “accreditati” per la prova che deciderai di fare.

Esistono diversi tipi di prove e vengono svolte con metodiche differenti. Tutte hanno sostanzialmente un obiettivo comune: rilevare come evolve, in determinate condizioni e con il trascorrere del tempo, la presenza di batteri sul tuo substrato o prodotto tessile.

 

Una prova antibatterica di esempio

Ecco, brevemente (e semplificando parecchio), come si fa una prova antibatterica. 

Si impiegano due capsule separate contenenti del brodo di coltura (è nutrimento per i batteri). In una delle due capsule si pone un frammento di tessuto trattato antibatterico (“campione”); nell’altra un frammento di tessuto non trattato (“controllo”).

In ogni capsula si inocula un numero noto di batteri di un determinato ceppo. Si pongono le capsule a 37°C per 24 ore, poi si procede a nuova conta dei batteri in ciascuna capsula. Se il trattamento è efficace, registreremo una forte differenza numerica nei batteri fra tessuto trattato e non trattato.
Mediante una formula (non semplicissima) si calcola un fattore che, nel caso della prova che sto esemplificando, rappresenta l’attività antibatterica del prodotto tessile trattato

La tabella riporta i batteri più comunemente utilizzati. Solitamente si eseguono due prove: la prima con un batterio Gram+, l’altra con uno Gram- , come lo Staphylococcus Aureus e la Klebsiella Pneumoniae, ma nessuno vieta di impiegarne altri.

E’ importante sapere che la differenza di crescita batterica si misura in “ordini di grandezza”, cioè in “potenze di 10”. 
Ciò significa che si parla di “effetto antibatterico” quando, sul campione trattato antibatterico, i batteri crescono 100 o 1000 volte meno che sul controllo.
L’attività antibatterica di un substrato antibatterico, secondo la norma ISO 20743, è data dal valore A compreso fra 0 e circa 7.
A=0 significa assenza di effetto antibatterico perchè sul campione la crescita batterica avviene esattamente come sul controllo, non trattato antibatterico.
A=5 significa un forte effetto antibatterico perchè sul campione la crescita batterica è 100.000 volte minore che su controllo, non trattato antibatterico. 

Oltre a definire il batterio (o i batteri) da impiegare, va poi scelto anche il metodo di prova,  dato che non esiste solo la ISO 20743: come vedremo fra poco, ci sono infatti altre norme di riferimento che forniscono altre  precise metodologie di prova, più o meno usate nei diversi continenti.

 

Norme per prove antibatteriche

Quelle che richiamo sono le principali norme per accertare l’antibattericità di un substrato.
Nel mondo tessile è molto usata la ISO 20743, come pure la AATCC 100 o la ASTM 2149. Esaminiamole brevemente.  

UNI EN ISO 20743. E’ una norma europea di tipo quantitativo, che misura l’attività antibatterica solitamente di un prodotto tessile. La prova è di tipo statico, ovvero il campione (tessuto trattato) e il controllo (riferimento non trattato) ricevono un inoculo batterico e sono poi incubati per 24 ore a 37°C. Si procede a conta batterica prima e dopo incubazione su entrambi i campioni. Il calcolo dell’attività antibatterica A si effettua mediante una apposita formula con termini logaritmici, allo scopo di evidenziare il diverso ordine di grandezza fra le crescite batteriche sul campione e sul controllo.

AATCC 100. La prova è simile alla precedente ISO 20743, forse un poco meno rigorosa, ed è impiegata nel mercato americano (USA)

JIS L1902. Anche questa prova è simile alla ISO 20743, l’impiego è soprattutto nel mercato giapponese.

UNI EN ISO 20645. E’ una norma europea di tipo qualitativo che determina se vi è o meno effetto antibatterico. Si tratta di una prova di diffusione in agar che indica solo se il prodotto è, o non è, antibatterico. Non si hanno invece risultati su “quanto” sia l’attività antibatterica del substrato.  

ASTM E 2149-13. Questa prova è abbastanza diffusa ed è denominata Dynamic Shake Flask, ovvero Determining the Antimicrobial Activity of Immobilized Antimicrobial Agents Under Dynamic Contact Condition. La prova è detta anche “beuta a scuotimento dinamico” e infatti determina la percentuale di riduzione batterica mantenendo il campione antibatterico sotto costante agitazione durante l’incubazione. Il risultato che si ottiene è un valore R espresso in % di minore crescita batterica sul campione (antibatterico) rispetto al controllo (nn antibatterico).
Occorre qui prestare attenzione, perchè una riduzione del 50% è interessante, ma non costituisce un livello di antibattericità significativo. Come ho scritto sopra, per parlare di effetto antibatterico, occorrono minori crescite di almeno due ordini di grandezza, quindi il valore R deve essere almeno del 99,9%. In questa norma, un A=5 della ISO 20743 (effetto forte) equivale a R=99.9999%.

Il filmato seguente mostra le modalità di conduzione della ASTM 2149-13.

 

Vincoli da rispettare

La materia è molto fluida, perché l’UE (ed anche i Paesi extra-UE) tende a regolamentare questo campo in modo sempre più stringente. Le ragioni sono comprensibili e mirano ad evitare l’uso indiscriminato di prodotti biocidi: pratica che potrebbe portare all’insorgenza di resistenze batteriche indesiderate. Per tali ragioni, alcuni principi antibatterici hanno subito restrizioni; altri le stanno subendo.

In passato disponevamo di sostanze antibatteriche molto efficaci per tessuti, di semplice applicazione e costo relativamente modesto. Fra queste vi era per esempio il triclosano. Questa sostanza ha subito restrizioni da parte dell’Unione Europea e, sebbene molto efficace,  non può essere impiegata. La stessa sorte subiranno alcuni composti dell’argento, anche se questo elemento antibatterico è tuttora molto in voga.

Occorre una certa prudenza e vigilanza sullo stato dell’arte in questo campo.

Vanno tenuti sotto controllo leggi, regolamenti, disposizioni, principi attivi, fabbricanti e fornitori, allo scopo di operare nel rispetto delle regolamentazioni vigenti. E’ importante prevenire ed evitare problemi nella vendita e, soprattutto, nel post-vendita di prodotti antibatterici.

 

Etichettatura di articoli trattati antibatterici

L’Unione Europea, con il Regolamento n. 528/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012, ha sancito alcuni obblighi relativi all’immissione sul mercato di articoli trattati antibatterici.

In questo Regolamento, al Capo XIII, Articolo 58, “Articoli trattati“, vi sono aspetti di una certa importanza.
Fra queste, ho estrapolato quelli che riporto perché mi sembrano particolarmente significativi. 

  1. Gli articoli trattati sono immessi sul mercato unicamente se tutti i principi attivi contenuti nei biocidi con cui sono stati trattati, o che essi contengono, sono iscritti nell’elenco stilato conformemente all’articolo 9, paragrafo 2, per il tipo di prodotto e l’uso pertinenti, oppure nell’allegato I, e sono soddisfatte le condizioni o limitazioni ivi specificate”.
    Occorre pertanto vigilare sui principi attivi impiegati e su chi è autorizzato a metterli in commercio.
     
  2. “La persona responsabile dell’immissione sul mercato di un articolo trattato assicura che l’etichetta rechi le informazioni elencate nel secondo comma (…) quando, nel caso di un articolo trattato contenente un biocida, il fabbricante dell’articolo ne indica le proprietà biocide”.
  3. L’etichetta di cui al primo comma reca le seguenti informazioni:
  1. una menzione indicante che l’articolo trattato contiene biocidi;
  2. se confermata, la proprietà biocida attribuita all’articolo trattato;
  3. fatto salvo l’articolo 24 del regolamento CE n. 1272/2008, il nome di tutti i principi attivi contenuti nei biocidi;
  4. il nome di tutti i nanomateriali contenuti nei biocidi, seguito dal termine «nano» tra parentesi;
  5. eventuali pertinenti istruzioni per l’uso, comprese le opportune precauzioni da prendere a causa dei biocidi con i quali l’articolo è stato trattato o in esso contenuti”.

4. “Fatti salvi gli obblighi di etichettatura di cui al paragrafo 3, il fornitore di un articolo trattato fornisce gratuitamente e entro quarantacinque giorni, al consumatore che lo richieda le informazioni sul trattamento biocida dell’articolo trattato”.

5. “L’etichetta è chiaramente visibile, di facile lettura e adeguatamente resistente. Se le dimensioni o la funzione dell’articolo trattato lo richiedono, l’etichetta è stampata sull’imballaggio, sulle istruzioni per l’uso o sulla garanzia nella lingua o nelle lingue ufficiali dello Stato membro di introduzione, salvo diversa disposizione da parte di detto Stato membro. Nel caso di articoli trattati che non sono fabbricati in serie, ma progettati e realizzati su ordinazione specifica, il produttore può concordare altre modalità per fornire al cliente le pertinenti informazioni”.

Per una consultazione completa del Regolamento in parola (sono 123 pagine, ma la maggior parte non riguarda prodotti tessili trattati con biocidi) potete scaricare il testo completo cliccando qui. Quanto ho riportato deriva dal solo art. 58 del Capo XIII.

 

Conclusioni

Personalmente raccomando massima attenzione nel valutare le competenze dell’azienda alla quale ci si affida per eseguire il trattamento antibatterico su prodotti tessili e su altri substrati.

Vi consiglio di scegliere un partner competente, che disponga di un sistema qualità certificato ISO9001. Questo ti permetterà di contare su una assistenza all’altezza della situazione e su un supporto tecnico affidabile. Potrai così contenere i tempi di studio e di realizzazione del trattamento e realizzare un prodotto di valore, efficace, testato e documentato.

Se mi vuoi contattare, puoi chiamarmi allo 0331 633298. 

Per idee di prodotti tessili antibatterici e principi elementari sull’antibattericità, consulta la prima parte in questo altro post.  

 

Buon lavoro!

 

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(Rev. 03 – 01/07/2021)

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